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I Politeama d'Italia

 

 

Politeàma dal greco POLYS molto e THEAMA spettacolo letteralmente significa teatro che si presta a spettacoli di varia maniera.

Questo, se pur adottato come nome proprio per il cineteatro comasco, è di fatto un nome comune che indica dei particolari luoghi di spettacolo “all'italiana” sorti tra il 1880 e il 1920 in numerose città e cittadine italiane; il termine indica un edificio teatrale di carattere polifunzionale, frequentato da un pubblico socialmente eterogeneo, che rappresenta il luogo di spettacolo indifferenziato per eccellenza e che è stato di fondamentale importanza per il lungo processo di formazione dei luoghi istituzionali del consumo cinematografico.

Durante questo lungo processo, c’è stata una costante esplorazione che inizia con i primi spettacoli di fotografia animata di inizio secolo e giunge fino agli anni Cinquanta, periodo di massima popolarità del mezzo cinematografico. In questi decenni ci sono stati diversi contributi da parte di ambienti e riti di consumo che hanno aperto la strada all’istituzionalizzazione del cinema: questo processo si è compiuto proprio attraverso la creazione di ambienti specializzati per il consumo dello spettacolo, che prendono il nome di teatri Politeama.

Negli anni a cavallo tra i due secoli, Otto e Novecento, mentre le città si stanno trasformando sotto la spinta di un forte processo di modernizzazione, gli spazi per lo spettacolo sono codificati da una lunga tradizione, resaci nota in particolare dalla novella “Al cinematografo” di Gualtiero Ildebrando Fabbri (G. I. Fabbri, Al cinematografo, Tonini, Milano 1907; rieditato a cura di S. Raffaelli, Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema, Roma 1993).

 

Considerando la data di edizione, 1907, questo testo può essere considerato come uno dei primi esempi letterari a tema cinematografico. La "novella", oggi semisconosciuta e che all'epoca ebbe straordinario successo, ci permette di conoscere le platee cinematografiche di inizio secolo, di cui si sono avute finora solo notizie incerte. Infatti la ristampa di “Al Cinematografo” ci permette di delineare i primi passi della storia cinematografica italiana; l’autore passa infatti in rassegna, attraverso le parole del protagonista della novella, un giovane intellettuale di nome Gastone Fedi, le principali tipologie di ambienti dello spettacolo ottocentesco.

In primo luogo il giovane ci descrive, seppur con toni caricaturali, il circolo; questo viene da lui descritto come una forma di vita associativa di particolare importanza nel tessuto urbano del XIX secolo italiano, che coinvolge ceti differenti intorno a cultura, attività ricreative, sport, musica, scienza e che comporta una forte identificazione dei membri appartenenti.

Il giovane Fedi si sposta poi al caffè, descrivendolo come spazio di mediazione tra interno ed esterno, tra la familiarità di un luogo domestico e la caotica strada. Ci dice come in questi luoghi, la tipologia dei clienti abituali contribuiva a creare l’immagine del locale che di volta in volta poteva trasformarsi in ambiente mondano, di ritrovo culturale ed artistico. Il gestore diventava qui “impresario di spettacoli” (F. Casetti, E. Mosconi, Spettatori italiani – riti e ambienti del consumo cinematografico (1900 – 1950), Carocci editore, Roma 2006, p.18) che sapeva cogliere le esigenze dei clienti indirizzandole secondo i propri scopi commerciali.

L’intellettuale descrive poi la strada e la piazza; qui, una “fiumana vivente” si ritrova nel luogo più popolare ed eterogeneo dal punto di vista degli spettacoli, il più ricco di storia e di tradizione. La piazza era luogo vivo di carattere sperimentale, spazio per le nuove proposte di spettacolo testate su pubblici occasionali e dove convergono molteplici forme di spettacolo.

 

Accanto a questi spazi, in posizione dominante e centrale c’è infine il teatro di tradizione, edificio che risale al XVIII e XIX secolo ed è solitamente presente nelle città grandi o di media grandezza.

Nella sua forma architettonica, concepita per il teatro dell’opera e per una società divisa in classi sociali, è il tempio della cultura cittadina e incorpora dell’eleganza degli ambienti e dei decori i significati della collettività: basti infatti pensare alla visione “differenziata e gerarchica" della scena perché la forma del teatro costringe a visioni parziali coloro che occupano posizioni laterali.

A questi spazi descritti dalle parole del giovane Fedi, si affiancano in maniera sempre più crescente nel corso dell’Ottocento, altri ambienti: dai piccoli teatri privati di case nobiliari ai teatri popolari, dai teatri diurni per spettacoli che sfruttano la luce naturale, alle arene che sorgono si limiti delle città e sono destinate a un doppio utilizzo, sia teatrale che sportivo.

Con l’avvento della modernità a cavallo tra i due secoli, nel suo duplice aspetto di cambiamento violento e di aggiornamento e progresso, si assiste a un cambiamento di prospettiva anche per quanto riguarda gli spazi per lo spettacolo: questi da “monumenti della memoria” si trasformano in luoghi funzionali, da “templi della cultura” diventano contenitori di svago a pagamento. Questo processo avviene nel contesto di una nuova concezione urbanistica che prevede una razionalizzazione degli spazi, necessaria per il forte aumento demografico.

In questa fase di transizione, come si può dedurre anche dal racconto “Il Cinematografo”, si colloca il periodo di “formazione” dello spettatore cinematografico. Ma prima ancora di varcare la soglia del cinema come lo intendiamo noi oggi è necessario soffermarsi sul politeama inteso come ambiente che comincia a diffondersi e segna il passaggio tra i due mondi: questa nuova configurazione di spazio spettacolare incarna per la nuova classe borghese di fine Ottocento l’utopia di un teatro accessibile e democratico.

A questo va aggiunto il fatto che a fine ottocento il teatro di tradizione entra in una fase di decadenza, dovuta ai costi di gestione e di adeguamento delle strutture e alla resistenza delle società di palchettisti a concedere il teatro per spettacoli ritenuti inadatti al prestigio del teatro.

 

In questo periodo si fa quindi viva l'esigenza di un altro tipo di spazio, che fosse versatile e polifunzionale: il politeama nasce così in risposta a queste richieste in veste di edificio teatrale destinato alla rappresentazione diurna e notturna di spettacoli di vario genere: prosa, lirica, rivista, varietà musicale, cinema e in alcuni casi anche di circo equestre. La sua costruzione, nella maggior parte dei casi frutto del pragmatismo borghese e dell'imprenditorialità privata, avviene velocemente in spazi liberi nel centro delle città.

Caratteristiche comuni a questi nuovi spazi sono l'ampiezza, la flessibilità e una decorosa eleganza. La vasta capienza, tra i 1000 e i 5000 posti, rispondeva all'esigenza di spazi adatti al grande pubblico e non più di rappresentanza sociale come nel teatro di tradizione. La flessibilità, che rende il politeama un edificio adatto a tutti i generi di spettacolo, si dispiega a più livelli, anche a livello tecnologico, per agevolare le esigenze di ogni tipo di rappresentazione: ecco quindi ad esempio che le poltrone della platea diventano removibili, rendendo questo spazio parte della scena.

 

L' “eteronomia” architettonica dello spazio di sposa con l’ “eteronomia” espressiva dello spettacolo, ma questa mancanza di specificità sia dell'ambiente che della forma non deriva da povertà e vaghezza, ma anzi vuole potenziare i luoghi dello spettacolo della modernità novecentesca.

Lo spazio della rappresentazione si arricchisce di ulteriori spazi al contorno come saloni, foyer, caffè, ristoranti con giardino, e molto altro, per rispondere alle diverse necessità. La sala vera e propria della rappresentazione si fa inoltre scuola di democrazia: vengono eliminati i palchi o, in ogni caso, ridotti di numero a vantaggio di una o più gallerie ad anfiteatro, ampie e digradanti, adatte ad ospitare un maggior numero di spettatori.

Dal punto di vista estetico, il politeama traduce questo eclettismo nella presenza di elementi architettonici e decori: la struttura esterna varia dallo stile neorinascimentale e del secondo impero fino al liberty delle parti ornamentali, mentre l'interno fa uso di materiali innovativi nello scheletro a supporto di capitelli, medaglioni, stucchi. Si ricerca in questi spazi una forte integrazione tra i materiali moderni, utilizzati costruttivamente, e i raffinati decori antichi. Emblema di questo stile “classicamente” moderno è la cupola in ferro, presente in diversi politeama come soluzione che oltre a risolvere i problemi di aerazione e illuminazione, caratterizza l'architettura dell'edificio e definisce il profilo dell'intera città.

L’eterogeneità si rispecchia anche negli spettacoli presentati: oltre ai più classici generi di lirica, prosa, musica classica, vengono rappresentati in questi spazi anche spettacoli di piazza come circhi, compagnie di artisti, maghi, trasformisti e illusionisti, oltre che il teatro dialettale, la pantomima, la pochade, l’operetta, i balli e le rappresentazioni filodrammatiche. Con la diffusione di questo tipo di spazio teatrale diminuisce sempre più la differenziazione tra i luoghi della cultura, tipica del secolo precedente. Il politeama diventa “fabbrica dello spettacolo” in cui gli spettatori non sono attirati solamente dagli intrattenimenti teatrali ma anche dai servizi che ruotano attorno a questi. In questo modo lo spazio teatrale agisce sulle persone: “fa di una folla informe e caotica un pubblico, convogliandone lo sguardo ed educandolo alle leggi della prospettiva”.

Nonostante i politeama mantengano un’impostazione di tipo teatrale sono i primi ad aprire le porte al nuovo genere di spettacolo che si sviluppa a cavallo tra i due secoli, ovvero è uno dei primi ambienti in grado di ospitare in modo continuativo le proiezioni di fotografia animata, accompagnandole spesso con orchestre e parti recitate dal vivo.

L’ingresso della fotografia animata nei teatri ottocenteschi era infatti ostacolata da due fattori in particolare: da una parte dai pregiudizi delle autorità comunali, contrarie all’idea di concedere l’uso dei teatri tradizionali a spettacoli che allora erano ritenuti poco decorosi; dall’altra da motivi prettamente strutturali: mancava in questi luoghi infatti spesso un sistema di illuminazione elettrica adeguato alle proiezioni.

Contemporaneamente alle prime proiezioni nei politeama d’Italia, si assiste nel primo decennio alla diffusione delle prime vere e proprie sale cinematografiche su tutto il territorio e il politeama sembrerebbe così perdere la sua funzione unificante di tutte le forme di spettacolo.

Tuttavia in questi anni permane comunque la proiezione dei primi lungometraggi all’interno delle sale teatrali; questo accade per i “film di primissimo ordine” e il politeama diviene quindi il luogo in cui transitano i grandi film. È il caso ad esempio dei film: L’inferno (Padovan, Bertolini, De Liguoro, 1911) che al Politeama di Como viene presentato accompagnato da un prologo in versi danteschi, Quo Vadis? (Guazzoni, 1913), Gli ultimi giorni di Pompei (Rodolfi, 1913), Histoire d’un Pierrot (Negroni, 1914), Cabiria (Pastrone, 1914) che fanno il giro dei principali politeama d’Italia. In questa fase il grande film italiano, pur in un momento di istituzionalizzazione e di formazione della propria autonomia, sembra quindi preferire il Politeama per dar valore alla rappresentazione e per esaltarne l’artisticità attraverso la cornice teatrale e l’accompagnamento musicale dal vivo.

Questa fase termina con il sopraggiungere del primo conflitto mondiale; da questo momento le due destinazioni d’uso si dividono. Il locale diventa o teatro o cinematografo e le due esperienze tendono a non essere più interate tra loro. Il politeama rimane comunque lo spazio spettacolare aperto a ogni forma di spettacolo e particolarmente a quelle che non trovano spazi alternativi dove svilupparsi.

Si può quindi affermare che il Politeama è stata un’istituzione fondamentale per lo sviluppo della storia del cinema in quanto ha modellato l’esperienza cinematografica e allo stesso tempo l’ha resa accessibile a tutte le classi sociali.

 

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